Le leggi di Mendel e la Genetica post-Mendel
Gregor Mendel (1822-1884) è riconosciuto come il fondatore della genetica: mise a punto un’ipotesi di lavoro, pianificò gli esperimenti scegliendo organismi con caratteristiche più adatte, studiò i discendenti della prima, della seconda generazione e anche di quelle successive, utilizzò un approccio quantitativo allo studio della genetica. La valutazione dei dati fu oggettiva e riproducibile.
Le leggi di Mendel, formulate da Gregor Mendel nel 1855, furono il frutto delle sue accurate e meticolose ricerche, in cui applicò il metodo scientifico. Fece un uso innovativo di caratteri ben definiti e contrastanti (seme liscio o rugoso, fiori rossi o bianchi) nell'ambito della stessa specie.
Seguendo ben definiti caratteri attraverso la prima , la seconda e le successive generazioni, Mendel riuscì a dimostrare che l'ereditarietà non è una mescolanza di caratteri parentali, come si era pensato, ma che i caratteri ereditari sono trasmessi da unità distinte, distribuite in modo diverso a ogni generazione. Mendel fu il primo naturalista che comprese l'importanza dell'applicazione delle scienze matematiche alla biologia.
La scelta della pianta per gli esperimenti fu dovuto a diverse ragioni:
Le piante si trovavano in commercio ed erano facilmente coltivabili;
Le piante fornivano un numero di esemplari elevato a ogni generazione
Le numerose varietà avevano caratteristiche ben evidenti che si manifestavano in solo due alternative
Si parla alternativamente di due o tre leggi di Mendel poichè molti autori integrano la Legge della Dominanza all'interno della Legge della Segregazione dei caratteri.
Mendel usò piante di pisello odoroso che differivano per un solo carattere. Incrociò quindi artificialmente piante di fiori con lo stelo corto con piante di fiori con lo stelo lungo, piante di fiori rossi con piante di fiori bianchi, e così via. Le piantine nate dal primo incrocio, denominato F1, uscirono tutte uguali, avevano cioè presentato il carattere di uno solo dei due genitori. Sembrava dunque che si salvasse un solo carattere e che l’altro scomparisse. Mendel chiamò il carattere che restava manifesto DOMINANTE, mentre quello che scompariva RECESSIVO.
Da questo otteniamo una formulazione della 1° Legge di Mendel: legge della Dominanza
Incrociando due individui appartenenti a linee pure per un determinato carattere e che ne manifestano forme diverse, si ottengono individui in cui si manifesta solo uno dei due caratteri (detto dominante) mentre l'altro (detto recessivo) rimane latente. Questo significa che, in ogni caso, nella generazione successiva (o prima generazione) uno dei caratteri antagonisti non si manifesta mai nel fenotipo.
Mendel incrociò le piante ottenute in prima generazione filiale e ottenne il 75% di piante che mostravano l'allele dominante e il 25% di piante che mostravano il carattere recessivo. Giustificò questo affermando che ciascun individuo possiede una coppia di alleli nel proprio DNA per ogni carattere. Essi al momento della meiosi migrano nei differenti gameti.
Da questo otteniamo una formulazione della 2° Legge di Mendel: Legge della Segregazione dei caratteri
Ogni individuo possiede per ogni carattere due alleli che segregano (si separano) al momento della meiosi.
In una seconda serie di esperimenti Mendel prese in considerazione degli incroci tra piante di piselli che differivano per due caratteri, con lo scopo di osservare se vi fossero interazioni tra caratteri diversi, nella loro trasmissione.
Mendel, seguì il medesimo procedimento che aveva usato con il primo esperimento, ed ottenne risultati simili, ma significativi. La prima generazione filiale (F1) era composta per intero da componenti genotipicamente eterozigoti (quindi fenotipicamente mostrava gli allei dominanti), mentre fra i componenti della F2 Mendel notò un rapporto in media di 9:3:3:1. Su 16 combinazioni, 9 sono gli individui che presentano i due caratteri dominanti, 1 è l'individuo con i due caratteri recessivi, 3 e 3 sono gli individui con le due combinazioni alternative di caratteri dominanti e recessivi. Dunque, questa legge stabilisce che i geni che controllano caratteri diversi si distribuiscono in modo indipendente gli uni dagli altri.
In termini moderni questo significa che, al momento della produzione dei gameti, geni situati su cromosomi diversi si comportano in modo tra loro indipendente. Esistono tuttavia molti esempi di geni abbastanza lontani, ma appartenenti allo stesso cromosoma, che riescono tuttavia a distribuirsi in modo indipendente.
Da questo otteniamo una formulazione della 3° Legge di Mendel: Legge dell'assortimento indipendente
Quando si formano i gameti, gli alleli di un gene assortiscono indipendentemente dagli alleli di un'altro gene.
I limiti delle Leggi di Mendel
Nei suoi studi e nei modelli usati Mendel non tenne conto di una serie di elementi, tanto è vero che la semplicità e del modello usato (caratteri espressi solo in due forme alternative e non mescolabili e non interagenti tra loro), divenne a sua volta il limite del modello stesso. Studi successivi domostrarono che gli effetti fenotipici di un gene possano essere influenzati da altri geni e dall’ambiente, la maggior parte dei caratteri sia influenzata da più di un gene, la maggior parte dei geni possa influenzare più di un carattere, i geni possano subire cambiamenti improvvisi. In poche parole l'esistenza di interazioni alleliche e geniche.
La genetica post-Mendel
Interazioni alleliche
La dominanza incompleta si manifesta quando, incrociando due linee pure per un certo carattere, la prole eterozigote manifesta un fenotipo diverso da quello dei genitori. Di fatto nessuno dei due alleli risulta essere dominate sull’altro in maniera marcata: essi interagiscono fra loro, ottenendo un fenotipo qualitativamente o quantitativamente intermedio a quello della generazione parentale. Un esempio è quello della bocca di leone (Antirrhinum majus), pianticella che possiede un gene responsabile del colore dei fiori. Questo gene presenta due varianti (R, r) che causano il colore rosso (R) o bianco (r) nei fiori delle linee pure (quindi omozigoti per quel gene).
Incrociando piante RR con piante rr otteniamo ibridi F1 genotipicamente Rr (quindi eterozigoti) e fenotipicamente dai fiori rosa, colore intermedio fra il rosso e il bianco. Per dimostrare che effettivamente il colore rosa sia dato dall’interazione dagli alleli R e r, incrociamo due ibridi F1 e ricostruiamo genotipo e fenotipo della prole, utilizzando il quadrato di Punnett: ¼ RR (rosso), ½ Rr (rosa) e ¼ rr (bianco), con un rapporto fenotipico di 1:2:1 che identifica un caso di dominanza incompleta. Nella dominanza totale, infatti, il rapporto fenotipico della generazione F2 è 3:1, in quanto ¾ della prole ha il fenotipo caratteristico dell’allele dominante (¼ AA + ½ Aa) mentre il restante terzo quello dell’allele recessivo (aa). Si tratta naturalmente di dati probabilistici: nelle piante che producono moltissimi semi è più facile poter verificare i rapporti percentuali.
Codominanza
Anche la codominanza è una situazione in cui nessuno dei due alleli dell’individuo diploide è definibile dominante o recessivo, ma, a differenza della dominanza incompleta, il fenotipo dell’ibrido risulta essere la somma esatta dei fenotipi dei genitori, in quanto gli alleli si comportano in maniera indipendente l’uno dall’altro. Un esempio è dato dal gene che controlla il gruppo sanguigno degli individui il quale presenta 3 alleli differenti (caso di allelia multipla), di un polisaccaride di membrana degli eritrociti. Anche l'eterozigosi presente nei portatori di anemia falciforme, i quali presentano sia globuli rossi normali che alterati è riconducibile a un caso di dominanza incompleta.
Interazioni geniche
Eredità poligenica
L'eredità è unifattoriale (monogenica) quando il carattere biologico è specificato da un solo gene trasmesso secondo le leggi mendeliane (della dominanza, della segregazione, dell'indipendenza). L'eredità è multifattoriale (poligenica) quando il carattere biologico è controllato da un insieme di molti geni (genetica quantitativa) che agiscono, in concorso con fattori ambientali. Per l'evidenziazione di un carattere quantitativo, all'effetto genetico viene ad associarsi l'influenza dell'ambiente, quest'ultimo inteso nella sua più ampia accezione (alimentazione, condizioni igieniche, clima, tabagismo, attività fisica etc.). Molti caratteri umani, come il colore della pelle, degli occhi, dei capelli, l’altezza, il peso, la pressione arteriosa, la longevità, variano in una popolazione, senza presentare grandi differenze. Questi caratteri ereditari sono il risultato quantitativo di più geni; ogni singolo gene dà un piccolo contributo all’esibizione di quel carattere, e la somma dei contributi dei diversi geni coinvolti determina il valore reale visibile per quel carattere. Un semplice esempio è l'altezza in un campione di individui.
Pleiotropia
Un singolo gene può avere molteplici effetti sul fenotipo di un organismo. La mutazione in un gene coinvolto nella formazione di cartilagine provoca: costole ispessite, restringimento della trachea, perdita di elasticità nei polmoni, narici ostruite, muso tozzo, ispessimento del muscolo cardiaco. L’espressione di un gene è inoltre il risultato della sua interazione con l’ambiente. Per esempio, la temperatura influenza il colore delle primule e del pelo dei gatti siamesi.
Epistasi
Nell’epistasi un gene influenza, o letteralmente copre, l’effetto di un altro gene. L’epistasi è un fenomeno per cui un gene influenza l’espressione fenotipica di un altro gene. Per evidenziare un fenomeno epistatico è conveniente studiare la progenie che si forma dall’incrocio di due diibridi. In caso di epistasi, infatti, la comune distribuzione dei fenotipi studiata da Mendel (9:3:3:1) risulta modificata secondo diversi rapporti (9:7; 9:3:4; 12:3:1)
I geni possono interagire reciprocamente tramite epistasi. L’epistasi si manifesta quando un gene altera l’effetto fenotipico di un altro gene. Nel caso dei cani Labrador retriever il gene E/e determina l’espressione del gene B/b.
Un esempio è costituito dal colore del mantello dei cani di razza Labrador, che dipende da due geni, B ed E. Il gene B controlla la produzione del pigmento melanina: l’allele dominante B produce pigmentazione nera, mentre l’allele recessivo b produce pigmentazione marrone. Il gene E controlla invece la deposizione del pigmento nel mantello: in presenza dell’allele dominante E la melanina si deposita normalmente nel pelo; l’allele recessivo e invece impedisce la deposizione del pigmento: esso viene prodotto ma non si deposita nella pelliccia. Il risultato è un mantello di colore giallo.
Di conseguenza i cani BB o Bb sono neri e quelli bb sono marroni solo se sono ancheEE oppure Ee; i cani ee, invece, sono sempre di colore giallo, indipendentemente dalla presenza degli alleli B o b. L’allele recessivo e è quindi epistatico sugli alleli B e b. Dall’accoppiamento fra due cani BbEe si ottiene una cucciolata con 9/16 di cani neri, 3/16 di cani marroni e 4/16 di cani gialli.
Gli studi di De Vries
Hugo de Vries (nel 1902): notò che nei suoi esperimenti a volte appariva un carattere nuovo. Ipotizzò che: tali cambiamenti sono dovuti a modifiche nei geni, chiamate mutazioni; alleli differenti dello stesso gene si originano per mutazione; una mutazione è favorevole se avvantaggia la specie, come per la tolleranza al lattosio; una mutazione è sfavorevole se causa malattie come l’albinismo o la fenilchetonuria.
Gli studi di Sutton
Walter Sutton (nel 1902) afferma che: i cromosomi risultano appaiati sin dall’inizio della prima divisione meiotica; i cromosomi di una coppia si assomigliano; ipotesi che i cromosomi siano i portatori dei geni e che i due alleli si trovino su cromosomi omologhi; la terza legge di Mendel è valida se due geni non si trovano sullo stesso cromosoma, altrimenti durante la meiosi finiscono nello stesso gamete. Certi caratteri si trovano sui cromosomi sessuali; i cromosomi sessuali fanno eccezione e la coppia è uguale solo nella femmina XX, mentre il maschio è XY; i gameti maschili avranno per metà il cromosoma X e per metà Y, le cellule uovo hanno tutte il cromosoma X.
Gli studi sui cromosomi sessuali
Il biologo statunitense T. Morgan (1866-1945), sperimentando numerosi incroci di Drosophila Melanogaster, dimostrò l'esistenza di un legame fisico tra il gene responsabile del colore dell'occhio del moscerino e un determinato cromosoma. Drosophila Melanogaster: ha solo 4 paia di cromosomi, si riproduce facilmente e ha variante occhi rossi e bianchi. Morgan fece gli esperimenti di Mendel ma ottenne risultati diversi alla seconda generazione: non c’erano femmine con occhi bianchi. Il gene per il colore degli occhi è presente solo sul cromosoma X.
Un altro tipo di indagine fu compiuta sui cromosomi giganti delle ghiandole salivari dell'insetto, che per le loro dimensioni e per il fatto di essere sempre despiralizzati sono ben visibili al microscopio ottico, dove appaiono costituiti da bande alternate chiare e scure. Dalla loro osservazione si poté appurare che l'assenza ereditaria di certi geni è associata alla scomparsa fisica di determinate bande.